La storia che voglio raccontarvi oggi comincia in un silenzio pieno. Un silenzio di mani che lavorano, di gesti antichi, di fibre che si incrociano come strade di un villaggio dimenticato. È la storia di Mario Forciniti, un uomo che ha intrecciato il proprio destino con la bellezza nascosta di un mestiere millenario. Ma per raccontarla, bisogna cominciare da lontano.
Calabrese d’origine, figlio dell’Italia dura e rocciosa, Mario nasce però tra le geometrie rigorose della Germania, dove cresce sotto cieli dritti e ritmi precisi. La vita lì è programmata, efficiente, pulita. Ma anche distante. Così, un giorno, alla soglia del nuovo secolo, Mario sente il richiamo di qualcosa di diverso. Più umano. Più vicino alla pelle. Lascia tutto e arriva in Toscana — terra di colline incerte, di nebbie mattutine, di artigiani e ulivi. Terra dove si può sbagliare, respirare, vivere.
Lo incontrai a Marcialla, borgo quieto che respira tra le pieghe del Chianti, in un laboratorio che pare una bottega del Rinascimento. Aveva le mani leste e agili e lo sguardo pieno di una luce che riconosci solo in chi ha finalmente trovato il proprio posto nel mondo.
La svolta, mi racconta, avviene otto anni fa. Sta lavorando in albergo, una stagione come tante, quando un’amica del suo compagno — un’intrecciatrice che lavora per conto terzi — lo chiama per una commessa urgente. Gli serve aiuto, e Mario accetta. Si siede, prende in mano quel materiale vivo, duttile, dal profumo di tradizione. E succede l’inatteso. Le sue dita si muovono come se avessero sempre saputo farlo. Come se quel sapere antico fosse rimasto silenziosamente nascosto dentro di lui, in attesa di riemergere. Un sapere che non viene insegnato, ma riconosciuto.
Da quel momento non si ferma più. Nasce così Forciniti Intrecci d’Arte, laboratorio e santuario del gesto. Un luogo dove si fa resistenza con ago e trama, dove ogni borsa è un canto sommesso alla bellezza del fatto a mano. Nulla a che vedere con il lusso senz’anima: qui le borse hanno cuore. Sono oggetti vivi, che raccontano storie di paesaggi, di stagioni, di mani laboriose.
Oggi i suoi intrecci piacciono ai grandi marchi della moda, che gli chiedono collezioni su misura. Ma Mario non si è mai lasciato sedurre dal palcoscenico. Continua a lavorare nel suo laboratorio, in silenzio, progettando, tagliando, tessendo. Realizza anche la sua linea personale, che vibra di autenticità e bellezza senza tempo. Una borsa di Mario è come una poesia contadina: genuina, elegante ed essenziale.
Eppure, non è tutto. C’è anche un’urgenza, un grido sottile in ciò che fa. In Toscana, Mario è forse l’ultimo a praticare quest’arte applicata all’abbigliamento. I marchi lo cercano per creare le loro linee, sì, ma poi devono produrre altrove, nelle Marche, dove ancora esistono artigiani. Così lui rilancia, cercando apprendisti, intrecciatori, anime disposte a imparare. Perché sa che un’arte muore non quando nessuno la pratica più, ma quando nessuno la trasmette.
Le sue creazioni non sono solo borse. Sono pezzi di paesaggio. Quando le tocchi, senti il fruscio degli olivi, l’eco delle botteghe medievali, il profumo dei mercati all’alba. Sono oggetti da tenere, da far invecchiare con te. E non costano follie, anzi: sono una carezza accessibile, un lusso umano.
Il laboratorio si trova in via Primo Maggio 12, a Marcialla. Nessuna insegna luminosa. Solo una porta di legno, da varcare su appuntamento. Perché qui non si vende, si crea e si racconta. E ogni cliente diventa un pezzo del racconto. Oppure puoi ordinarle dai suoi social.
“Il lavoro crea lo spazio che abitiamo nel mondo”, ci dice la storia di Mario, guardando le sue mani muoversi tra gli intrecci. E io penso che è vero. Che ci sono uomini che costruiscono grattacieli, e altri che ricuciono i fili invisibili della memoria. Mario è uno di questi. E in un tempo che corre e dimentica, lui si ferma e intreccia.
Intreccia bellezza. Intreccia futuro. Intreccia silenzi. E lo fa per tutti noi.
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